
(POST LUNGO, preparatevi)
Per chi non ha mai praticato alcuno sport da combattimento, spesso la valutazione di un combattimento è piuttosto dozzinale: “Per vincere quell’atleta doveva muoversi più velocemente!” “Avresti dovuto far così” “Perché non ha usato quella manovra?”.
Come detto in un post precedente, le valutazioni esterne al combattimento lasciano il tempo che trovano. E a volte anche gli atleti che praticano lo sport stesso non hanno sempre una grande comprensione di quel piccolo mondo che è l’area di confronto: chiamatela arena, ring, tatami, gabbia o quel che è all’interno si crea un piccolo sistema con le proprie dinamiche e chi non ci ha passato molto tempo fa fatica a comprendere bene come funzioni il tutto.
Quindi capita spesso che gli atleti inizino, scioccamente, a ragionare su elementi come il divertentissimo “ah ma quella tecnica è facile da interrompere se io faccio così”. Questo tipo di ragionamento mi intristisce e mi fa spaccare dal ridere allo stesso tempo perché chiunque abbia un minimo di intelligenza comprende che il punto non è quale tecnica venga eseguita dal nostro avversario, ma conta soprattutto il quando.
Basti guardare una normale lezione di molte arti marziali rapportata ai match professionistici: come schivare/deviare/difendersi da un pugno si vede alla prima lezione, eppure i migliori al mondo a volte vanno giù in K.O. proprio con quel pugno.
Non conoscevano la difesa corretta? O forse non l’avevano studiata a sufficienza? No, semplicemente il loro avversario ha avuto la capacità di gestione di tempo e distanze necessarie a piazzare la tecnica in modo vincente. Ha trovato il momento buono.
La stessa cosa applichiamola ad un laterale di Forma 1: si impara a difendersi da esso alla prima lezione, ma poi col progredire delle forme si vedono decine, se non centinaia contando le variazioni, di movimenti atti a difenderci da un semplice laterale: dai blocchi al tempo al braccio, da una guardia ben piazzata ad una schivata, fino ad arrivare a contrattacchi sync circolari e chi più ne ha più ne metta.
Sulla carta c’è un attacco a cui corrispondono un’esagerazione di reazioni possibili.
Eppure poi andiamo a vedere i tornei e quanta gente viene sconfitta proprio da un laterale, in tutta la sua semplicità?
Sono sbagliate le tecniche di reazione allo stesso? No, semplicemente quel laterale è stato sufficientemente veloce a sfruttare il momento buono per entrare.
Lo stesso vale per le tecniche complesse.
Prendiamo la famigerata circolare di Forma 3: atleti di tutto il mondo Ludosport a volte si svegliano di notte urlando ripensando a quanto sia stato complesso apprendere quella tecnica, e di 100 persone che passano l’esame di stile forse 10 la tentano effettivamente in torneo.
Da qui il commento “intelligente” di alcuni atleti “ah ma basta colpire la mano” o “ah ma basta tenere il colpo in pressione”, e poi subiscono la tecnica come dei polli.
Non perché la tecnica sia perfetta o immune a risposte, semplicemente perché chi la usa ha trovato il momento buono per utilizzarla.
Ho usato in tutti e tre gli esempi la definizione “momento buono” perché è su questo che dovremmo soffermarci: non sull’esecuzione di una specifica tecnica, ma sulla gestione del combattimento al fine di trovare quel “momento buono”.
È qui che iniziamo a parlare di strategia.
Piccola digressione: pianificazione, strategia e tattica non sono sinonimi, ognuno ha un suo significato specifico.
”Pianificazione” riguarda la preparazione alla gestione della propria performance prima dell’inizio della sfida. Pensiamo ad esempio alla formazione di una squadra che sceglie di utilizzare uno schema 4-4-2 anziché un altro perché conscia delle caratteristiche della squadra avversaria, o nel caso della nostra disciplina la scelta di entrare in arena con un’arma piuttosto che con un’altra. Però la pianificazione è limitata: “tutti hanno un piano finché non prendono un pugno in faccia” diceva Mike Tyson.
”Strategia” indica invece la strada che si cerca di intraprendere durante il combattimento per ottenere la vittoria o il perché si scelga questa strada.
Una strategia potrebbe essere “devo sfruttare le tecniche in rimessa perché il mio avversario è troppo veloce a spostarsi” oppure “devo guadagnare il centro dell’arena per risparmiare energie e costringere l’avversario a muoversi più di me” o ancora “devo far muovere la guardia dell’avversario per sferrare un colpo alle sue gambe”.
È l’idea generale, la colonna sonora del combattimento.
”Tattica” invece indica tutti i passaggi e le azioni che ti permettono di seguire la strategia scelta in precedenza. La scelta di partire con una guardia per poi adeguarla alle misure subito dopo, la scelta di tagliare le linee (o di non tagliarle, lavorando quindi sull’imbroglio), la scelta di attaccare senza sosta per ottenere una posizione in arena o ancora la costante provocazione dell’avversario (attiva o apparentemente passiva che sia). La tattica consiste nel susseguirsi di tecniche, manovre, posizionamenti e tempi per ottimizzare il combattimento secondo la propria strategia.
Dopo queste definizioni torniamo a noi: dicevamo che la strategia altro non è che la ricerca di quel “momento buono”.
Ma è così facile?
Qua nasce il problema. La scherma (come altri sport da combattimento) non è una partita di scacchi (per quanto ci si possano fare migliaia di parallelismi) dove ogni tecnica è un pezzo diverso. Uno schermidore su youtube di cui non ricordo il nome diceva “La scherma è come gli scacchi, ma senza i turni e con gli attacchi che vanno ai 100 km/h… Quindi in effetti con gli scacchi ha ben poco a che fare”.
Eppure molti atleti sono ancora fermi su quel concetto della scacchiera. O addirittura di un gioco di carte, e paragonano ogni tecnica ad una carta diversa.
”Perché a questa carta risponderò con questa, se lui mette giù il +2 io gioco il +4” e via dicendo.
No, non funziona così: le tecniche sono solo uno degli elementi. Se proprio vogliamo paragonare (siete fastidiosi quando lo fate quindi gioco di contropiede e lo faccio io) il combattimento agli scacchi è più giusto dire che ogni pezzo corrisponde, anziché ad una tecnica, ai diversi punti forti e deboli dell’atleta: dalla fisicità alla “teatralità” (ne parleremo in un post futuro), dalla precisione di un movimento alla capacità di gestire i tempi. Le singole tecniche non contano nulla fino all’ultimo secondo: ovviamente sarà la singola tecnica a determinare il punto, ma non bisogna focalizzarsi su quella.
Un calciatore fa gol con un singolo tiro, ma ovviamente la partita viene decisa da tutto ciò che gli ha permesso di arrivare lì a sferrarlo quel tiro, no?
Ora, ovviamente la domanda: ma è davvero possibile applicare attivamente tante tattiche in combattimento?
No. E sì. Dipende.
Le tattiche e le strategie, esattamente come le singole tecniche (anzi, anche di più) vanno allenate. Non ci si può trovare ad elaborare una nuova tattica durante un duello: impiegherebbe una quantità di tempo e attenzione che non abbiamo. Sarebbe esattamente come “inventarsi una tecnica” durante il combattimento: magari ci riesci, ma 99% di probabilità sarà una mezza schifezza.
Come la tecnica va studiata fino a renderla automatica ed efficiente, la tattica va allenata allo stesso modo: solo allora tante tattiche si concretizzeranno in arena senza che nemmeno ci si debba pensare.
Il problema è che le tattiche sono molto più difficili da apprendere e allenare: ognuno ha le proprie, e l’insegnante (a meno che non sia molto abile e si concentri su un singolo atleta in lezione privata) non può trasmetterle, può solo far sì che con l’allenamento ogni atleta elabori le proprie (allenandosi molto, spesso e con tanti atleti diversi per testarle sul campo).
Ma ovviamente, prima di elaborare tattiche varie, è d’obbligo imparare a eseguire al meglio le singole tecniche.
”Prima impariamo a muovere i pezzi, solo dopo parleremo di strategie”.
Ecco, ennesimo esempio con gli scacchi. Vi odio.
Simone “Inox” Pedrazzi
P.S. Opinione mia personale: per me bisognerebbe studiare tutte le forme pedissequamente e solo dopo iniziare a lavorare bene sulle tattiche, altrimenti ci si fossilizza su 3 tattiche in croce. E non basta. Per questo dico che il vero atleta Ludosport inizia a manifestarsi appieno dopo il cavalierato.
Poi però mi dicono che son noioso.