Penso che sia una frase che tutti abbiamo sentito almeno una volta nella vita:
”Chi sa fare fa. Chi non sa fare insegna”
Per quanto possa essere denigrante nei confronti di chi come me sostanzialmente lavora come insegnante, ritengo che questa frase abbia sostanzialmente un suo grosso fondo di verità. Ma c’è un motivo.
Facciamo qualche passo indietro.
Quando ero ragazzino come sapete praticavo arti marziali, e nello specifico avevo diversi maestri che si alternavano a seconda della giornata di allenamento.
Uno era il “gran maestro super direttore galattico” e roba varia, di quelli con un altissimo grado e tantissime persone al suo seguito, mentre l’altro era sostanzialmente il suo vice, anch’egli di alto grado ma comunque allievo del primo.
Per molto tempo ho praticato con entrambi e con gli anni mi son reso conto che preferivo di gran lunga il metodo di insegnamento del secondo, anche se non capivo perché. Me ne resi conto durante un ritiro di allenamento: il primo maestro salì sul tatami, dimostrò una tecnica che a lui riuscì con scandalosa facilità e ci chiese di praticarla.
Tra quelli che praticavano c’era anche il suo vice, che come tutti si mise al lavoro per allenare il movimento appena visto, anche lui con qualche difficoltà.
Avendo un po’ più confidenza con quest’ultimo, gli chiesi delucidazioni perché non avevo compreso molto. Lui rispose semplicemente “provo, ragiono un attimo poi ti dico”.
Era quello il punto! Da un lato c’era un maestro talentuoso in grado di fare tante cose senza sforzo, dall’altro quello che quando vedeva un movimento nuovo doveva pensarci, provarlo e solo così lo avrebbe assimilato.
Ed era proprio quello il motivo per cui preferivo il suo modo di insegnare e trasmettere le tecniche: era ben visibile come ogni tecnica che mi insegnasse fosse prima stata testata più volte sulla sua pelle, comprendendola appieno e diventando in grado di spiegarla al meglio. Il super maestro megagalattico eccetera invece l’avevo visto più volte dimostrare una tecnica dicendo semplicemente “si fa così” (anzi direttamente in dialetto “ a ‘sfa acsé "), come se fosse una cosa naturale come respirare.
Ma proprio per questa sua naturalezza nell’esecuzione non era in grado di immedesimarsi in chi non aveva le sue stesse capacità.
Il talento naturale raggiunge più velocemente il risultato, ma a volte così velocemente che non è in grado di cogliere tutti gli step intermedi dell’apprendimento. La persona “normale” che invece impiega tanto tempo ad imparare qualcosa la struttura in una maniera più conscia e di conseguenza comprende meglio i gradini di apprendimento.
Da questo punto di vista, la frase “Chi non sa fare insegna” ha un suo senso: non vuol dire che chi insegni è scarso, ma che è più adatto al ruolo di insegnamento colui che magari non era la persona più talentuosa.
È come dire: se doveste farvi insegnare l’arrampicata chiedereste a qualcuno che nell’imparare ad arrampicarsi ha sbagliato più volte o a Superman che vola direttamente fino alla cima della parete da scalata? Un esempio apparentemente esagerato, ma ci sono situazioni in cui effettivamente alcune persone riescono in certe sfide con una tale naturalezza da non essere in grado di spiegarvi come han fatto.
Forse è per questo che non mi fiderò mai troppo delle capacità didattiche di un talento naturale e preferirò sempre imparare da un insegnante che abbia sbagliato, che abbia vissuto sulla propria pelle l’idea del non essere in grado di far qualcosa e di dover trovare un metodo per riuscire nel proprio intento.
Il genio ha il talento, mentre la persona comune ha il metodo. E il talento non si può passare, mentre il metodo sì.
Quindi… Non è che chi non sa fare insegna, ma a volte chi non sa fare insegna meglio di chi sa fare
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